Interculturalità: al di là della lingua, capire e accogliere gli usi e costumi altrui

Quel est le rôle des soft skills interculturelles ? Conférence à U-Spring

In un mondo scosso da tensioni geopolitiche e conflitti d’identità, l’interculturalità non è più solo uno valore aggiunto ma è diventata una necessità strategica per ogni azienda che si interfaccia a livello internazionale. Durante l’evento U-Spring, quattro esperti hanno condiviso le loro esperienze su questo argomento: Régis Mulot (Ipsen), Agnès Rémond (7Speaking & Learnation), Thibaut Issindou (Gapsmoov) e Hector-Daniel Hernandez (Thalès). Ispirandosi ai principi del libro “The Culture Map” di Erin Meyer, hanno dimostrato come lo sviluppo di competenze interculturali possa trasformarsi in un vantaggio competitivo.

 

Le molteplici sfaccettature dell’interculturalità in azienda


 

Cosa si intende per “interculturale”? Al di là delle differenze di lingua o nazionalità, il concetto nelle aziende che operano sulla scena internazionale è molto più amplio. Come spiega Thibaut Issindou di Gapsmoov: “esistono diversi aspetti: le culture nazionali, le culture aziendali, le culture professionali, e tutte si intrecciano fra loro. Se prendiamo ad esempio la parola “innovazione”: per un francese significa creatività e distruzione, mentre per un tedesco significa perfezionamento metodico e miglioramento continuo”.

Gli esperti preferiscono quindi parlare di “divario” culturale piuttosto che di “differenze” – una sottigliezza importante che dimostra come queste diversità possano diventare un vero e proprio valore, se si sa come sfruttarle.

Sul campo, questo divario culturale diventa una risorsa preziosa quando è ben gestito. L’esempio di Thalès è significativo, come spiega Hector-Daniel Hernandez: “nei nostri progetti internazionali, abbiamo scoperto che la vera forza risiede nell’interazione culturale. Prendiamo l’esempio dell’iniziativa di cybersecurity che coinvolge Francia, Regno Unito e India: ogni cultura ha un punto di vista diverso – l’innovazione agile, il rigore metodologico o la visione strategica. L’intelligenza interculturale consiste nel riconoscere questi diversi approcci non come ostacoli ma come punti di forza complementari che, quando armonizzati, creano soluzioni più solide di quanto una singola cultura potrebbe sviluppare”. Questa testimonianza illustra perfettamente come la conoscenza approfondita delle specificità culturali possa trasformarsi in un vantaggio competitivo tangibile.

 

Per raggiungere l’intelligenza interculturale è necessario un approccio graduale. Padroneggiare la lingua dell’altro rappresenta sicuramente un primo passo, ma è solo la punta dell’iceberg. Come osserva Agnès Rémond: “imparare una lingua ci fa innanzi tutto prendere coscienza dei nostri limiti, poi diventa un ponte verso la comprensione dei divari culturali e la creazione di un terreno comune d’intesa”.

La vera sfida per le aziende internazionali risiede nella capacità di creare una solida base comune di comunicazione, che consenta di superare il divario culturale. È in questo contesto che la cultura aziendale gioca un ruolo decisivo. L’esempio di Ipsen è particolarmente significativo: questa azienda francese, con i suoi tre centri strategici a Parigi, Londra e Boston, e un CEO svizzero-tedesco, ha scelto di fare della cultura aziendale la sua priorità. Come spiega Régis Mulot, “la nostra priorità è definire la cultura che vogliamo rappresentare. L’obiettivo è: costruire un punto di incontro attraverso l’identità dell’azienda, una comunità che condivide valori e linguaggio, che permette di superare le singolarità nazionali”.

 

Sviluppare le soft skill interculturali: una strategia vincente


 

I valori necessari per operare in un ambiente multiculturale sono strettamente legati alle competenze della leadership contemporanea. Régis Mulot sintetizza queste qualità in modo preciso: queste competenze rivestono un’importanza fondamentale nel contesto attuale del lavoro ibrido, dove le interazioni virtuali possono facilmente diventare terreno fertile per malintesi culturali.

 

Con la metà dei suoi 1.000 manager a capo di team internazionali, Ipsen ha adottato un approccio concreto: “nel contesto del lavoro ibrido, privilegiamo l’interazione fisica e promuoviamo attivamente gli incontri, promuoviamo lo scambio di conoscenze tra dipendenti provenienti da diverse culture.” Questo approccio assicura che i dipendenti che attraversano i confini abbiano le risorse necessarie per immergersi e crescere nel loro nuovo ambiente culturale.

 

La mobilità internazionale è cruciale nelle esperienze interculturali e richiede preparazione e supporto specifici. “Selezioniamo rigorosamente i collaboratori che verranno espatriati”, continua. “Le candidature sono valutate in base alla capacità di adattamento culturale e di stabilire relazioni di fiducia oltre le barriere linguistiche”. Questo approccio assicura che i collaboratori che attraversano i confini abbiano le risorse necessarie per immergersi e crescere nel loro nuovo ambiente culturale.

 

Approcci pedagogici e mezzi per sviluppare l’intelligenza interculturale


 

Lo sviluppo di queste competenze interculturali richiede metodi di apprendimento specifici. Agnès Rémond individua tre fasi: “La prima consiste nel prendere coscienza dei propri limiti culturali e nell’acquisire conoscenze sulle caratteristiche specifiche del paese di destinazione. In secondo luogo, è necessario sviluppare la capacità di lavorare insieme, possibilmente attraverso incontri di persona. Infine, la terza fase prevede che il collaboratore si immerga nel paese in questione, eventualmente supportato da un mediatore linguistico per adeguare la propria comunicazione ai codici culturali locali”.

 

E quando viaggiare è impossibile? Gapsmoov ha affrontato questa sfida sviluppando alternative innovative. “Offriamo corsi di formazione a distanza per i collaboratori che non possono viaggiare”, spiega Thibaut Issindou. La nostra filosofia si basa sul principio che l’intelligenza interculturale coinvolge tutti i collaboratori”. In particolare, l’azienda ha realizzato il “Culture Decoder”, un mezzo che consente ai collaboratori di individuare le proprie inclinazioni culturali e di confrontarle con i codici di altri Paesi.

 

Anche l’apprendimento di gruppo è particolarmente efficace in questo contesto. A tale scopo 7Speaking propone lezioni di lingua di gruppo a tema, aperte a tutti indipendentemente dalla lingua madre, creando “uno spazio neutro favorevole alla riflessione comune, in cui il docente assume il ruolo di mediatore culturale”, come spiega Agnès Rémond. Una realtà collettiva che offre ai partecipanti un terreno di formazione amichevole prima di tuffarsi in una vera interazione interculturale.

 

Misurare l’impatto e integrare l’interculturalità nella strategia HR


 

Come valutare concretamente l’impatto della formazione interculturale sul rendimento organizzativo rimane una sfida importante. “Come per la maggior parte delle competenze interpersonali, misurare i progressi in modo oggettivo presenta diverse difficoltà”, ammette Thibaut Issindou. Attualmente ci basiamo principalmente sull’autovalutazione dei partecipanti. Per ottenere una misurazione più affidabile, i manager dovrebbero essere coinvolti nel processo di valutazione.
In risposta a questa constatazione, Hector-Daniel Hernandez condivide l’approccio adottato da Thalès: “Sebbene non abbiamo trovato un’unità di misura per valutare direttamente l’impatto dell’interculturalità, abbiamo implementato soluzioni pratiche. I nostri sondaggi annuali includono domande sulla collaborazione, la diversità e l’inclusione, indicatori che riflettono indirettamente la qualità delle nostre interazioni interculturali”. Questo approccio di valutazione indiretta offre un’alternativa concreta per le aziende che affrontano la stessa problematica.
Per massimizzare questo impatto, gli esperti concordano su un punto: le formazioni interculturali dovrebbero essere accessibili a tutti i livelli dell’organizzazione. “Tradizionalmente, la formazione interculturale era riservata a chi sarebbe espatriato”, osserva Thibaut Issindou, che sostiene una visione più inclusiva. Agnès Rémond concorda con lui: “È essenziale che tutti i collaboratori acquisiscano almeno una base linguistica comune. Ma al di là della lingua, queste persone interagiscono in un contesto multiculturale. Per questo motivo, consigliamo di estendere la sensibilizzazione interculturale a tutto il personale”.

 

L’essere umano al centro dell’intelligenza interculturale


 

Se padroneggiare una lingua straniera rimane la base indispensabile per comunicare a livello internazionale, l’intelligenza interculturale ci spinge oltre. Essa ci invita a comprendere i codici impliciti, i valori profondi e i modi di funzionamento propri di ogni cultura, sviluppando al contempo la nostra capacità di adattare il nostro comportamento in base al contesto.

Come riassume Agnès Rémond, “la capacità di condividere un momento di umorismo informale tra colleghi costituisce un elemento fondamentale della ricchezza degli scambi interculturali”. Questa osservazione evidenzia come le interazioni quotidiane, spesso trascurate nelle formazioni tradizionali, possano diventare le fondamenta invisibili ma essenziali di relazioni professionali transnazionali piacevoli.
In un mondo in cui le sfide geopolitiche diventano sempre più complesse – come dimostra il contrasto netto tra visioni a lungo termine e approcci più immediati dei leader internazionali – sviluppare questa intelligenza interculturale diventa un vantaggio strategico fondamentale.

Il futuro appartiene senza dubbio alle organizzazioni che saranno in grado di rendere questa realtà un elemento centrale della loro strategia, trasformando così la diversità culturale in un potente motore di innovazione ed efficienza. In questo percorso, nonostante i progressi tecnologici più sofisticati, la dimensione umana resterà sempre il maggior punto di forza per “leggere tra le righe” delle culture e trasformare le diversità in vantaggi competitivi duraturi.